IL TRIBUNALE CIVILE
   Ha emesso la seguente ordinanza nella causa civile iscritta  al  n.
 5151/1993  tra  Savasta Carmela, rappr. e difesa dall'avv. G. Rinaldi
 per mandato a margine del  ricorso  in  appello,  appellante,  contro
 l'I.N.P.D.A.P., gestione autonoma ex I.N.A.D.E.L., in persona del suo
 legale rappresentante pro-tempore, rappr. e difesa dall'avv. R. Porto
 per  mandato  in  calce alla copia notificata del ricorso in appello,
 appellato.
                           RITENUTO IN FATTO
    Con ricorso al pretore, giudice del lavoro, di Catania  depositato
 l'11 aprile 1990 Savasta Carmela, premesso di essere stata assunta il
 6   agosto   1945  in  qualita'  di  assistente  amministrativo  alle
 dipendenze  della  disciolta  O.M.N.I.;  di  essere  transitata,  con
 decorrenza dal 1 gennaio 1976, alle dipendenze del comune di Catania;
 di   aver   cessato  il  servizio  il  1  marzo  1989,  esponeva  che
 l'I.N.A.D.E.L., nel liquidare il trattamento di fine servizio ad essa
 spettante ai sensi dell'art. 9 della legge n.  698/1975,  cosi'  come
 modificata  dall'art.  5  della  legge  n.  563/1977, aveva omesso di
 includere  l'indennita'  di  buonuscita  per   il   lavoro   prestato
 successivamente  al  31 dicembre 1975; rilevava altresi' che, in ogni
 caso, l'importo di  tale  indennita',  liquidato  dal  Ministero  del
 tesoro  alla  data del 31 dicembre 1975 sulla base della retribuzione
 al tempo goduta, era  divenuto  "vile"  a  causa  della  svalutazione
 monetaria.   Chiedeva   pertanto  la  condanna  dell'I.N.A.D.E.L.  al
 pagamento della maggior somma di L. 44.821.536 e,  in  subordine,  la
 corresponsione della rivalutazione monetaria e degli interessi legali
 sulla somma liquidata al 31 dicembre 1975 dal Ministero del Tesoro.
    L'I.N.A.D.E.L., costituitosi in giudizio, contestava la fondatezza
 del ricorso di cui chiedeva pertanto il rigetto.
    Il Ministero del tesoro deduceva a sua volta la propria carenza di
 legittimazione passiva chiedendo parimenti il rigetto del ricorso.
    Con  sentenza  in  data  22  giugno  1993  il pretore rigettava il
 ricorso rilevando che l'I.N.A.D.E.L. aveva correttamente applicato la
 normativa di cui alla legge 27 ottobre 1988, n. 482, che  all'art.  6
 fa  obbligo al detto Istituto di determinare in via teorica l'importo
 dell'indennita'  premio  di  fine  servizio  riferita  alla  data  di
 iscrizione   dei   singoli   dipendenti   al  detto  istituto,  e  di
 corrispondere la eventuale eccedenza tra l'importo versato dagli enti
 di provenienza e quello determinato  in  via  teorica  ai  dipendenti
 interessati,   non   oltre   il   termine   di  un  anno  dalla  data
 dell'effettivo versamento.
    Avverso tale pronuncia proponeva appello la  Savasta  lamentandone
 la  erroneita' sotto diversi profili e chiedendo, in via subordinata,
 la rimessione degli  atti  alla  Corte  costituzionale  ritenendo  la
 incostituzionalita'  della  norma  di  cui  all'art. 6 della legge n.
 482/1988.
    Ripristinatosi   il   contraddittorio   l'I.N.P.D.A.P.,   gestione
 autonoma  ex  I.N.A.D.E.L., contestava quanto dedotto dall'appellante
 chiedendo il rigetto del proposto gravame.
                          RITENUTO IN DIRITTO
    Rileva il collegio che allo stato degli atti la  domanda  proposta
 dall'appellante dovrebbe essere respinta.
    Lamenta  invero  l'appellante  la  erroneita'  della decisione del
 primo giudice che, rigettando la domanda proposta, aveva disatteso la
 giurisprudenza  unanime  della  Suprema  corte   che   aveva   sempre
 confermato  il  diritto  dei dipendenti ex O.M.N.I., che non avessero
 optato per l'iscrizione alla C.P.D.E.L., ad entrambe le indennita' di
 anzianita' e di buonuscita maturate per il servizio con l'O.M.N.I. ed
 all'indennita' premio servizio per  il  periodo  successivo,  con  la
 precisazione che tutti gli emolumenti suddetti, compresa l'indennita'
 di  buonuscita  per  il servizio prestato presso l'O.M.N.I., andavano
 determinati "sulla  base  dell'ultima  retribuzione  corrisposta  nel
 periodo  finale dell'unificato rapporto, salva, per cio' che concerne
 tale  ultima  indennita',  l'applicazione  dei  criteri  di   calcolo
 stabiliti dal regolamento dell'ente disciolto" (da ultimo, Cass. sez.
 un.  26 febbraio 1993, n. 2423). Ed ha altresi' rilevato l'appellante
 che  proprio  in  virtu'  della  citata   giurisprudenza   la   Corte
 costituzionale,  con  sentenza  interpretativa del 29 agosto 1989, n.
 164,  aveva  ritenuto  infondate   le   questioni   di   legittimita'
 costituzionale  dell'art.  9, secondo comma, della legge n. 698/1975,
 nel testo modificato dall'art. 5 della legge n.  563/1977,  dovendosi
 calcolare  l'indennita'  di  fine  rapporto  sulla  base  dell'ultima
 retribuzione.
    Osserva invero il collegio che il  quadro  normativo  in  subiecta
 materia  e'  stato indubbiamente modificato a seguito dell'entrata in
 vigore della legge 27 ottobre 1988, n.  482  che  all'art.  6,  terzo
 comma,  dispone  che  "ai fini della ricongiunzione nell'ambito della
 gestione previdenziale dell'I.N.A.D.E.L. di tutti i servizi o periodi
 gia' riconosciuti utili ai fini  dei  presenti  trattamenti  di  fine
 servizio  presso  gli  enti  di  provenienza,  l'Istituto  stesso, in
 relazione  alla  posizione  giuridica  ed  economica  rivestita   dal
 personale  interessato  ed  all'anzianita'  di servizio maturata alla
 data  di  iscrizione,   determinera'   in   via   teorica   l'importo
 dell'indennita'  premio  di  servizio  riferita alla predetta data di
 iscrizione,  secondo  le  disposizioni  del   proprio   ordinamento",
 proseguendo al quarto comma che "la eventuale eccedenza fra l'importo
 versato  e  quello  determinato in via teorica, di cui ai commi due e
 tre,  e'  corrisposta  a   cura   dell'I.N.A.D.E.L.   ai   dipendenti
 interessati,   non   oltre   il   termine   di  un  anno  dalla  data
 dell'effettivo versamento".
    Tale  norma  invero,  se  per  un  verso  rafforza  l'affermazione
 dell'unicita'  del  rapporto  e del trattamento di fine servizio, per
 altro verso prevede dei  criteri  nuovi  di  computo  dell'indennita'
 premio  di  servizio per i dipendenti degli enti soppressi trasferiti
 agli   enti   locali,   di   talche'   la   prospettazione    fornita
 dall'appellante  si  pone  chiaramente in contrasto con la disciplina
 dell'indennita'  di  fine  servizio  quale  risulta  ormai   regolata
 dall'art. 6 della legge n. 482/1988.
    Osserva  in  proposito  il  collegio che la disposizione di cui al
 terzo comma dell'art. 6 della legge  n.  482/1988  e'  esplicita  nel
 fissare  alla  data  di iscrizione all'I.N.A.D.E.L. la determinazione
 del "maturato" da versarsi a quest'ultimo  da  parte  degli  enti  di
 provenienza  e  delle  competenti gestioni di liquidazione, imponendo
 all'istituto  di  quantificare  l'importo  dell'indennita'  di   fine
 servizio con riferimento esclusivo alla "predetta data di iscrizione"
 ed  "in relazione alla posizione giuridica ed economica rivestita dal
 personale interessato ed all'anzianita' di servizio maturata" in tale
 momento. Da cio' consegue che l'indennita', calcolata ed  accantonata
 alla   data   di   scioglimento   dell'O.M.N.I.   e   di   iscrizione
 all'I.N.A.D.E.L.,  rimane  -  secondo   il   disposto   normativo   -
 "congelata"  a tale data stante l'assenza di meccanismi perequativi o
 di rivalutazione analoghi a quelli previsti dalla legge n.  297/1982:
 tale  situazione  determina  una  palese violazione sia del principio
 della proporzionalita' della retribuzione alla qualita'  e  quantita'
 del  lavoro  (art.  36  della  Costituzione)  sia  del  principio  di
 eguaglianza (art. 3) posto che ai dipendenti dell'O.M.N.I. trasferiti
 ad altre amministrazioni verrebbe riservato un trattamento  deteriore
 rispetto a quelli collocati a riposo contemporaneamente, o poco prima
 dello  scioglimento  di  detto  ente, cui l'indennita' medesima venne
 liquidata sulla base dell'ultima retribuzione,  non  depauperata  nel
 suo effettivo valore.
    Ritiene   pertanto   il   collegio  che  la  questione  sollevata,
 chiaramente rilevante nel giudizio in corso,  non  e'  manifestamente
 infondata:  pertanto  la  stessa  va  rimessa al giudizio della Corte
 costituzionale.